La campana di vetro di Sylvia Plath

Titolo originale: The Bell Jar, 1963
Edizione: Oscar Moderni, 2016
Traduzione: Adriana Bottini e Anna Ravano
Pagine: 228
Brillante studentessa di provincia vincitrice del soggiorno offerto da una rivista di moda, a New York Esther si sente «come un cavallo da corsa in un mondo senza piste». Intorno a lei, l’America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta: una vera e propria campana di vetro che nel proteggerla le toglie a poco a poco l’aria. L’alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell’elettroshock. Fortemente autobiografico, La campana di vetro narra con agghiacciante semplicità le insipienze, le crudeltà incoscienti, gli assurdi tabù che spezzano un’adolescenza presa nell’ingranaggio stritolante della normalità che ignora la poesia.
 
Recensione 
 
“Sylvia Plath” è stata una vera e propria scoperta. Grazie al gruppo di lettura Libertiamo ho potuto avvicinarmi a questa poetessa di cui, lo ammetto, avevo solamente sentita nominare e non ero a conoscenza della sua vicenda personale.
La campana di vetro è il suo unico romanzo, la Plath è conosciuta infatti per le sue poesie ma il libro è molto rilevante se vogliamo avvicinarci alla sua persona, essendo in parte autobiografico, ci consente di avvicinarci alle sue memorie e diventa ancora più importante se consideriamo il fatto che Sylvia Plath, dopo un mese dalla pubblicazione del libro, nel 1963, si suicida.
Il punto di partenza è l’ambientazione del romanzo e l’epoca in cui vive la Plath: l’America degli anni ’50. Se si fa una ricerca su Google immagini con “donne America anni ’50”, la prima immagine che troviamo è questa:

Rappresenta in pieno l’immaginario comune che abbiamo per quel momento storico, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna, vista come mamma, moglie brava, intelligente, brillante ma Esther sente che quella non è la vita che desidera. Non si tratta di essere ribelli, sovversivi o andare contro alle regole, dopotutto la protagonista inizia il suo racconto intorno ai 20 anni, bensì di seguire la propria anima, le passioni innate.

Esher si ritrova infatti a condividere un soggiorno a New York offerto da una rivista di moda, insieme a delle colleghe studentesse come lei. Ed è proprio durante gli eventi sfavillanti organizzati in questi giorni che tra i colori che la circondano inizia a crescere l’oscurità dentro di sé.
Davanti ad Esther si pongono davanti tutte le possibilità che il futuro le possa offrire, un futuro, però, che dipende solamente dalla scelta di Esther perché una donna non può pensare di costruirsi una carriera pensando di poter sviluppare e mandare avanti anche la sfera personale e famigliare.
Esther vorrebbe diventare scrittrice ma quando tutto ciò che la circonda è troppo lontano, ecco che cominciano ad insinuarsi demoni interiori nella mente della protagonista.
Nel momento in cui torna alla sua quotidianità, in lei cresce sempre di più l’ombra oscura della depressione, pur avendo davanti a sé molte porte da poter aprire non riesce a scegliere quella giusta per lei perché sa che in ogni caso dovrà lasciare indietro una parte di sé. La lotta interiore tra la Ester che “vorrebbe” essere e quella che “dovrebbe”, si fa sempre più terribile fino ad arrivare alle tenebre.

…e allora io avrei trovato parole per dirgli della paura che mi aveva preso, della sensazione di essere ricacciata sempre più in fondo a un sacco nero senz’aria e senza fine.

Iniziano i controlli, le visite, viene seguita da un primo specialista e, in seguito, mandata in cliniche psichiatriche. Ed è proprio in questa parte che la protagonista, in modo diretto, senza giri di parole, ci fa partecipi dell’orrore che è costretta a vivere. Il malato non viene realmente considerato,
Quello della protagonista non è un’inchiesta ma un racconto vissuto sulla propria pelle, reso ancora più terribile dall’estrema semplicità con cui mette nero su bianco le sue sensazioni.
L’argomento può far supporre una lettura pesante, in realtà è molto scorrevole, una volta terminata i pensieri che lascia al lettore sono ridondanti.
È un racconto con finale aperto anche se l’aurea autobiografica del romanzo e la tragica fine della Plath è come se dia alla storia raccontata nel libro, un tragico finale.